SEGRETE

SEGRETE – Tracce di Memoria

Pubblico
Presentazione
Stefania Giazzi
Mauro Panichella
Mats Bergquist
Tiziana Cera Rosco
Alessandro Lupi
Video su Etti Hillesum
Paolo Cavinato
Carla Crosio

Art Commission Associazione di Promozione Sociale della Cultura in collaborazione con Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura e ILSREC e con il patrocinio del Comune di Genova e della Regione Liguria.

COMUNICATO:

Artisti alleati in memoria della Shoah
IX Edizione
ideata e curata da Virginia Monteverde
con la collaborazione di Stefania Giazzi
22 Gennaio – 5 Febbraio 2017
Inaugurazione: sabato 21 gennaio ore 18
Antiche carceri della Torre Grimaldina di Palazzo Ducale piazza Matteotti, Genova

Sabato 21 gennaio alle 18.00 nelle Antiche Carceri della Torre Grimaldina di Palazzo Ducale a Genova, si inaugura la IX edizione di “SEGRETE – Tracce di Memoria” Alleanza di artisti in memoria della Shoah. La rassegna d’arte, realizzata grazie alla collaborazione di Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura, vedrà come tutti gli anni la creazione, all’interno delle suggestive celle della Torre Grimaldina, di un percorso artistico di forte impatto emozionale ed evocativo.  Attraverso installazioni site specific, gli artisti offrono letture diverse e riflessioni sulla Memoria. Come per le precedenti edizioni, la rassegna può contare sulla partecipazione di un gruppo di artisti contemporanei di rilievo internazionale:

Mats Bergquist, Gregorio Botta, Paolo Cavinato, Tiziana Cera Rosco, Carla Crosio Alessandro Lupi, Mauro Panichella.

La nona edizione di Segrete

La rassegna dedicata alla commemorazione della Shoah, che sin dalla prima edizione ha identificato le carceri di Palazzo Ducale come luogo deputato per ricordare il dramma dell’eccidio degli ebrei, quest’anno si è aperta con un video dedicato ad Etty Hillesum.
Nel video la ricostruzione della storia dell’intellettuale ebrea che volontariamente si è sottratta alla possibilità di salvarsi per seguire il destino che ha dissolto in modo sistematico e con razionale ferocia la vita di milioni di ebrei. Rievocata in un drammatico bianco e nero e tratteggiata da alcuni momenti salienti della sua esistenza, mette in evidenza l’impossibilità di questa giovane donna di rassegnarsi alla logica dell’odio contrapponendovi la teorizzazione del sacrificio. Etty Hillesum vuole essere “il cuore pensante della baracca”. La mistica razionalità del suo pensiero la guiderà con lucidità e senza vacillazioni fino alla fine del suo percorso di vita che si conclude con il viaggio in treno che la porterà ad Auschwitz.
La mostra è stata inaugurata partendo da questo video che ci mette di fronte alle nostre responsabilità verso il prossimo. E’ proseguita con le installazioni dei sette artisti invitati che hanno sviluppato il tema della memoria con estrema sensibilità ed empatia, aprendo alla strada della riflessione per poter comprendere, e del perdono come possibilità per riconciliarsi con il passato.

Mats Bergquist

Ha creato uno spazio di preghiera con i suoi daruma distribuiti su un letto di cenere. Lo spazio diviene così luogo di silenzio e di possibilità di cambiamento.
Attraverso la meditazione vi è la conversione del pensiero, che diventa puro e svuotato di desideri. Il daruma è l’icona del desiderio. L’atto della combustione lo purifica, ogni forma viene mondata dall’impurità della passione. Il tacere delle passioni e dei vortici mentali permette di raggiungere il perfetto silenzio della mente e può avvicinarci alla conoscenza del sé, della nostra essenza depurata dagli eccessi dell’ego in cui ci identifichiamo. Ritroviamo in questa opera il pensiero di Bergquist, la sua formazione: la trasformazione che è scaturita dal passaggio dal colore al monocromo si traspone in queste forme, nel doppio binario di creazione e dissoluzione del pensiero attraverso l’eliminazione del superfluo. Verso la ricerca dell’essenziale.

Gregorio Botta

Ricostruisce lo spazio della cella con gli oggeti più basilari: un letto ed un tavolo in piombo. Eppure è una cella affollata. Una volta avvicinatisi al letto di ferro, coperto da un lenzuolo di lino cerato e da un cuscino, rivivono i fantasmi dei prigionieri, si percepiscono nell’aria suoni e voci, ricordi di istanti vissuti richiamati ossessivamente alla mente. Nel tavolo incide in lettere scarlatte la parola cielo, sinonimo di luce e libertà, silenziosa invocazione nell’oscurità della prigione in cui tutte le parole del rimpianto scorrono nell’inchiostro. La consuetudine dell’artista di imprimere i materiali, scavati e manipolati per fare riaffiorare parole che marcano, si ripropone in questa opera in cui le pareti della stanza sono il contenitore di sentimenti ancora legati ciò che è irrimediabilmente passato, cui ogni cosa è intrisa, resa viva dal desiderio di sfuggire ad un presente inaccettabile in cui si è dolorosamente immersi.

Paolo Cavinato

Nella cella in cui trovò la morte in incerte circostanze Iacopo Ruffini, patriota genovese del periodo mazziniano, ha posto un’installazione in cui viene ricostruito il luogo sospeso di una camera il cui unico elemento di certezza è lo scandire di un goccia che cade a ritmi regolari. Tutto è bianco ed assorto in un allucinato silenzio; il letto al centro, unico oggetto come luogo di sconfinamento nel sogno, è veicolo per liberarsi della memoria di volti e luoghi assiepati negli angoli della mente e della stanza a colmare le ore di prigionia. L’artista ha imposto all’installazione una congrua sovrapposizione geometrica di vasche trasparenti che amplificano la luce ed il senso di solitudine che ad ogni anello d’acqua si espande, tentativo di contenimento dell’angoscia mediante la ritmicità come elemento di controllo.
Un tempo soggettivo ed articolato, luogo di rifugio e di ordine, di riparo dalla paura del non conosciuto e del vuoto.

Tiziana Cera Rosco

Nella cella ha deposto lenzuoli bianchi, sudari testimoni del supplizio.
L’artista tuttavia offre la possibilità del riscatto nel perdono.
Mette in scena la parabola del Vangelo secondo Matteo in cui viene evocata la domanda che Pietro pone a Gesù, quante volte perdonare il fratello che ha peccato nei suoi confronti; la risposta di Gesù è che dovrà perdonare fino a settanta volte sette. E quattrocentonovanta sono i calchi in gesso di corpi disposti a terra, le cui immagini nel dettaglio scorrono sui muri corrosi della cella riproponendo il martirio con il quale, attraversata la soglia massima del dolore, si potrà invertire la spirale dell’odio rigenerandolo con il perdono. La performance dell’artista scandisce la drammaticità del suono che impregna l’aria satura di tensione: Cera Rosco assiste alla tragedia e si copre il volto per non dovere più vedere tanto orrore, la lacerazione della personalità, il tentativo di cancellare ogni segno dell’io, di ogni fede.
Quanti corpi, oggi, quanti volti di cui non conosciamo storia né nome, sono sradicati, dispersi, respinti, umiliati?

Carla Crosio

Colpisce ed investe l’osservatore con una oscura massa informe che si espande dalle pareti della cella in ogni verso.
L’artista usa materiale di riciclo, ecologicamente sostenibile, per mettere in scena una situazione insostenibile, in un’azione di disturbo esterno a rappresentazione del disturbo interiore.
La massa amorfa che occupa ogni spazio in modo soffocante deborda come un pensiero irrefrenabile, una sorta di follia che non si è più in grado di contenere e rischia di rovesciarsi su ogni cosa invadendo lo spazio mentale e fisico, valicando il confine di demarcazione tra realtà ed immaginazione.
Crosio usa materiali comuni che divengono qualcosa di indefinito, inquietante una volta assunte forme e dimensioni incontrollabili, similmente alla materia dei sogni che viene prodotta dal nostro io segreto una volta sfuggiti alla logica del giorno ed alle sue regole, creando assurde associazioni e proliferazioni di pensiero che portano a tragiche derive.

Alessandro Lupi

Ci porta in una dimensione claustrofobica: usa un sofisticato espediente di illusione ottica per riprodurre ciò che appare come un corpo umano costretto in uno spazio ristrettissimo. L’essenza luminosa, creata da raggi ultravioletti che illuminano i fili di poliestere fosforescenti che ricostruiscono la figura, è proiezione di desiderio.
La struttura rigida di un baule impone rigidi confini all’espansione, sia fisica che mentale, dell’individuo. Il corpo rievocato attraverso la memoria è vincolato dai limiti stessi della mente. Prigione dentro la prigione, scatole cinesi che si incastrano una nell’altra senza soluzione incapsulano la mente in un labirinto.
L’opera di Lupi proietta nell’ombra la radicalità delle nostre illusioni, gabbie in cui noi stessi ci rinchiudiamo senza poter vedere la realtà delle cose.

Mauro Panichella

Usa la tecnologia per rappresentare una realtà sommersa, a metà strada tra la visione e la nostra percezione, che non sempre e necessariamente è simile al vero.
Nel suo video la telecamera scorre sulla superficie dell’acqua e capta le realtà appena sottostanti con l’occhio di un attento osservatore; l’artista, nella sua veste di archeologo indaga ogni scoperta per trasformarla in evoluto mezzo di comunicazione. In questo caso l’esplorazione minuziosa di ogni minuscolo animale od oggetto viene amplificata dallo strumento che indaga ogni cosa dentro il moto incessante dell’acqua. L’interesse dell’artista per il mondo animale ed i suoi simbolismi si manifesta in questo viaggio che ci accompagna in un mondo che conosciamo superficialmente ed è un mezzo per farci comprendere l’offuscata concezione che abbiamo del senso delle cose e degli accadimenti, le loro cause, che spesso non riusciamo a comprendere malgrado i segni premonitori e che quando si manifestano è oramai troppo tardi per poterli arrestare.

Il 7 settembre 1943 Etty Hillesum insieme ai suoi parenti, madre, padre e il fratello Misha, lasciò il campo di concentramento di Westerbork cantando, come dichiarò in una cartolina gettata dal treno e raccolta dai contadini del luogo. Con essa aveva lasciato il suo testamento che ci liberava dal vincolo dell’odio.

Testo di Stefania Giazzi

I siti che hanno annunciato la rassegna

http://www.palazzoducale.genova.it/segrete-tracce-di-memoria/ http://www.ilsecoloxix.it/p/multimedia/cultura_spettacoli/2017/01/27/ASTcsx4F-segrete_memoria_memo- ria.shtml#1 https://www.evensi.it/segrete-tracce-di-memoria-ix-edizione-inaugurazione-palazzo/196854301 http://www.mentelocale.it/agenda-eventi/genova/41525-concerto-memoria.htm http://www.espoarte.net/calendario-eventi/segrete-tracce-di-memoria-ix-edizione/ http://untitledmarlalombardo.blogspot.it/2017/01/segrete-tracce-di-memoria-genova.html http://www.italia-resistenza.it/in_evidenza/segrete-tracce-di-memoria-2017-2209/ http://www.artribune.com/mostre-evento-arte/segrete-tracce-di-memoria-2017/ http://www.arte.it/calendario-arte/genova/mostra-segrete-tracce-di-memoria-ix-edizione-34929 http://www.datedarte.it/events/segrete-tracce-di-memoria-ix-edizione/ http://agenzia.versolarte.it/News/2017/01/23/segrete-tracce-di-memoria/ https://www.lobodilattice.com/mostre-arte/segrete-tracce-memoria-ix-edizione http://www.exibart.com/profilo/eventiV2.asp?idelemento=165232

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INCONTEMPORANEA – Mats Bergquist, Gregorio Botta, Paolo Cavinato

19 gennaio / 23 febbraio 2017

a cura di Virginia Monteverde e Stefania Giazzi

Mats Bergquist

Nel buio di un pozzo ravviso il mio volto Hozaki Hosai

Mats Bergquist è nato a Stoccolma, dove vive attualmente. E’ vissuto in Russia ed in Polonia, negli ultimi anni in Italia.

La sua opera è ispirata dalla filosofia zen. Mats Bergquist agisce per sottrazione di immagini e di colore. La sua ricerca, ininterrotta meditazione su forma e sostanza, tende all’essenziale. Il colore viene gradualmente eliminato dalle sue opere sino a giungere all’opacità del bianco e del nero, supreme catarsi dell’assoluto. Le figure iconiche, i Daruma, realizzate in ceramica raku, che l’artista rappresenta come forma pura di un’espressione di desiderio si rovesciano nella rappresentazione degli Ayasma, ovali di pigmento nero su fondo bianco, definite dall’artista fonti di purezza. I Daruma sono ispirati alla figura del fondatore dello Zen, Bodhidharma. Nella tradizione giapponese le bambole votive sono dipinte e la raffigurazione di Bodhidharma è propiziatoria per ottenere la realizzazione di un desiderio, la speranza e la perseveranza sono espresse dal basso centro di gravità che ristabilisce sempre il centro del Daruma.

Nell’opera di Bergquist le icone sono immobili, silenti, preposte alla meditazione ed alla preghiera. Ogni opera votiva è un inno al sacro e la lavorazione della ceramica con la tecnica raku, ad altissima temperatura, crea i presupposti per la purificazione.

Negli Ayasma si procede per osmosi, l’ovale trasferito sul foglio non è più l’icona ma il mezzo per indagare l’inconscio. Lasciandosi trasportare nella vertigine dell’inconosciuto, si scende in luoghi profondi del proprio essere ove attingere da sorgenti pure le acque depurate dagli egoismi per giungere all’osservazione di sé, all’egoità, e risalire alla luce della superficie purificati. Nel nero scavato dell’Ayasma affiora l’immagine del sé, a lungo ricercata attraverso la meditazione, riflessa nello speccio ripulito della coscienza.

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Gregorio Botta

 

Gregorio Botta è nato a Napoli vive e lavora a Roma.

I materiali usati da Gregorio Botta per le sue sculture, piombo e cera, contengono la memoria delle parole e dei versi del poeta, l’archetipo delle idee e dell’artista. L’uso di questi materiali malleabili rileva la transitorietà e la caducità delle cose e la struggente bellezza dell’alto pensiero che verrà cancellato col passare del tempo. Botta tuttavia accetta l’incontrovertibile regola, apprende dallo stato delle cose la scansione del tempo e l’impermanenza di ogni cosa.

Tutto scorre, e Gregorio Botta fa scorrere sulla cera, materiale plasmabile, soggetto al dissolvimento, le parole del poeta pronunciate nel vortice dell’inquietudine e del disordine della vita. L’acqua cancella ogni traccia di questi vortici della mente, ne rimane solo il segno inscritto nel segmento dell’arte, nel tempo eterno e sospeso dell’afflato artistico. Il piombo custodisce i versi del poeta, li protegge dalla corrosione del tempo e dalla dimenticanza.

Botta dà segno e forma alla vulnerabilità delle cose e dei sentimenti. Nei suoi fragili lavori realizzati con i vetri, Botta imprigiona attimi che riafforano da un ricordo, da un sospensione della parola, collegamento di idee o sensazioni che emergono dalla coscienza. E’ la meditazione vipassana dell’artista.

Riuscendo a creare il vuoto attorno alle immagini che affollano il nostro vissuto, affiorerà e diventerà più nitido ciò che è più essenziale. Sfrondate da ogni orpello, appaiono gradualmente immagini relegate nell’inconscio, catalogate da frettolosi archivi. Nella forma che lentamente emerge da un’attenta osservazione vi è l’urgenza di ritrovare il vero, di uscire dai confini dell’io che percepisce in modo parziale ed illusorio; vi è la necessità di vedere finalmente le cose come sono.

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Paolo Cavinato

Paolo Cavinato è nato a Fossato, in provincia di Mantova, dove tuttora vive e lavora alternando la residenza a Copenaghen.

Le geometrie esistenziali delle opere di Paolo Cavinato prendono spunto da riferimenti prospettici rinascimentali. L’attenta analisi delle pecularietà dello spazio, lo sfruttamento della profondità ne fondano il rigore strutturale che permette all’artista di comporre ambienti dove quasi mai è prevista la presenza dell’uomo. I minuziosi manufatti vestono di meditazione ogni oggetto e riproduzione creati dall’artista.

I “Corridors”, composti da telai sovrapposti su base chiara, all’occhio dell’osservatore appaiono come corridoi infiniti in cui si aprono griglie che riproducono come in uno specchio lo stesso volume. La luce che pervade l’ambiente attraversa lo spazio e conduce lo spettatore dentro l’opera. Lo sguardo viene assorbito verso il centro, un vuoto non definito, non delimitato. Ci suggerisce un altrove cui non abbiamo accesso in ordinarie condizioni sensitive. Anche in “Libration” una sequenza di stanze dà accesso a vani sospesi, costruiti per determinare un ambiente che diventa, attraverso il nostro sguardo, sfuggente e dilatato.

E’ dunque una dimensione altra quella percepita dell’artista, una tensione verso un punto fuori dal nostro cono visivo che riporta alla consapevolezza della non-conoscenza, del senso della finitezza dell’opera che traccia coordinate che conducono ad una realtà che ci trascende.

Nell’opera “Destino”, l’intreccio dei telai cela una spazialità sospesa su di uno sfondo scuro. Le linee che si intersecano costituiscono la progettualità del finito malgrado tutto sia già inscritto nelle leggi dell’universo, precise costruzioni relazionali che non sfuggono al punto di attrazione da cui verranno assorbite, incorporate nella materia cosmica, dall’energia dell’infinito.

Le opere di Paolo Cavinato ci avvicinano ad una complessa prospettiva di ricerca del sacro nella costruzione architettonica delle nostre vite.

Testi di Stefania Giazzi

PALAZZO DUCALE, GENOVA

– CONFINI:

 CONFINI, Armida Gandini e Lory Ginedumont

-ANTICHE CARCERI:

 SEGRETE, Bergquist,Botta,Cavinato,Rosco,Crosio,Lupi,Panichella, genn.2017

-SPAZIO 46:

 UN’ ORA D’ARTE, Luisella Carretta, marzo 2016

IN-CONTEMPORANEA, Bergquist, Botta, Cavinato, gennaio 2017

IN-CONTEMPORANEA, Arrivabene, Bertozzi&Casoni, Filomenoluglio 2017