MACRO-ROMA

MACRO Museo d’Arte Contemporanea di Roma

Roma – Via Nizza, 138 – via Reggio Emilia, 54

www.museomacro.it

Ingresso libero

Orari apertura : martedì, mercoledì, giovedì, venerdì e domenica dalle ore 10 alle ore 20

Sabato dalle ore 10 alle ore 22 (Lunedì chiuso)

ITACA, Medhat Shafik, Settembre 2019

I CORRIDOI DEL TEMPO, Michelangelo Penso, Luglio 2019

CUCIRSI LA VITA ADDOSSO, Elena Monzo, Maggio 2019

CUCIRSI LA VITA ADDOSSO

#Laboratorio di Elena Monzo
CUCIRSI LA VITA ADDOSSO
a cura di Stefania Giazzi

Gli stereotipi in cui la donna è stata re-legata nella storia sono stampati su tessuti, reinterpretati, destrutturati. L’azione dell’artista è quella di riappropriarsi del tempo attraverso il recupero. Gli abiti sono il mezzo per depositare fantasmi femminili, mentre la visione di Occidente e Oriente sono mescolati in un caos in cui nessuna identità è più garantita.

14-19 maggio 2019 | Laboratorio MACRO ASILO

Elena Monzo | Cucirsi la vita addosso

#Laboratorio di Elena Monzo CUCIRSI LA VITA ADDOSSOa cura di Stefania GiazziGli stereotipi in cui la donna è stata re-legata nella storia sono stampati su tessuti, reinterpretati, destrutturati. L'azione dell'artista è quella di riappropriarsi del tempo attraverso il recupero. Gli abiti sono il mezzo per depositare fantasmi femminili, mentre la visione di Occidente e Oriente sono mescolati in un caos in cui nessuna identità è più garantita.14-19 maggio 2019 | Laboratorio MACRO ASILO Video © Monkeys VideoLab

Pubblicato da MACRO – Museo d'Arte Contemporanea Roma su Giovedì 23 maggio 2019

Video © Monkeys VideoLab


Il progetto di Elena Monzo per il Macro prende spunto dalla sua visione del femminile contemporaneo. Monzo interpreta il vissuto delle donne con il loro bagaglio di retaggi culturali, la ricerca della perfezione sempre in bilico tra l’immaginazione e la realtà che contrappone una modernità che inventa sempre nuovi modelli cui conformarsi. Le sue carte bianche, a volte preziose come le carte di riso, sono mezzo di trasformazione. Dalla purezza originaria del washi emergono ritratti di donne ambigue, esibizioniste, ansiose di adeguarsi all’estetica imperante, colte talvolta di sorpresa nell’intimità in collant e rossetti sbavati.

Le donne di Elena Monzo

Concluso lo show della mondanità le donne di Elena Monzo elaborano lo sfasamento tra l’essere e l’apparire e si purificano in segreto dai veleni mentali con rituali da cui riemerge il loro lato istintivo ed animale, il luogo più segreto in cui ricevono le linee guida della loro vita. La souplesse del femminile, la capacità di stare dentro ai ruoli assegnati con una propria segreta resistenza viene raffigurata da trapeziste inguainate in corpetti e lustrini, sospese nel vuoto o impegnate in impossibili contorsioni su tacchi vertiginosi di richiamo feticista.
Figure femminili tra lo splendore del mostrare e la fatica dell’essere, che appaiono ammiccanti e perdute, ad ondate assalite dai flashback che si sedimentano su un presente cosparso di dubbi.  Gli insetti che si nascondono tra le pieghe dei costumi di scena. Stremate, talora si abbandonano tra le braccia di un femminile che le sostiene.

Attraverso i cliché l’artista gioca sul doppio binario dei significati.

Stampandoli sui tessuti torna a reinterpretare gli stereotipi dell’immaginario in cui la donna è stata re-legata. Deride e destruttura i luoghi comuni ed attraverso l’iconografia trasforma i vecchi indumenti, facendo emergere diverse sfaccettature della personalità.

L’eccesso e la denuncia del consumismo compulsivo sono la cifra che contraddistingue l’opera di Elena Monzo. L’azione dell’artista è di riappropriarsi del tempo attraverso il recupero. Gli abiti sono il mezzo per depositare i suoi fantasmi femminili, la visione di Occidente ed Oriente mescolati in un incrocio caotico in cui nessuna identità è più garantita.

Nel laboratorio il tempo verrà scandito dalla riproduzione dei cliché, una sorta di tatuaggio impresso sulla verità del corpo, sull’identità che si vuole mostrare. In questo modo l’abito indossato, usato, obsoleto, torna a nuova vita. E’ come nuova linfa, desiderio di cambiamento senza negare il passato. Ed è anche ribellione ai dettami della moda, fluttuante in un tempo astratto che non è mai il presente, avulsa da qualsiasi contesto e soggetta solamente al codice del desiderio. Le sue muse sono presenze irraggiungibili, proiettate in un altrove a noi invisibile, che esauriscono il nostro sogno nel tempo della sfilata. Appena risvegliati da quel sogno artificiale è già tutto finito: a noi restano i gusci vuoti di meravigliosi abiti e l’illusione di possederne l’intrinseca personalità.

Il presente Elena Monzo lo inventa ricucendo le contraddizioni del nostro tempo, lacerato tra la nostalgia di un femminile arcaico e la necessità di un femminile integrato in ogni ambito.
Sulle sue carte genera mondi matriarcali, dove donne guidate dall’istinto e dall’intuito sono profondamente consce del sacro del femminile, dell’ancestrale forza che presiede alla creazione ed al generare. Al contempo si ribellano ai falsi miti di un progresso orientato al soddisfacimento di bisogni superflui con un sberleffo.

Stefania Giazzi