CS Mostra Confini

CONFINI
Armida Gandini e Lory Ginedumont
a cura di Virginia Monteverde presentazione critica di Stefania Giazzi 5/12/2020 – 31/01/2021
orari: da martedì a sabato – 16.00 – 19.00 chiuso: 24-25-26 dic 1-2 gennaio

Palazzo Ducale, Genova

Etherea Art Gallery presenta CONFINI – Armida Gandini e Lory Ginedumont, le opere video delle due artiste saranno allestite dal 5 dicembre 2020 al 31 gennaio 2021.

La presentazione della mostra, in ottemperanza alle vigenti norme sull’emergenza Covid, sarà solo in diretta streaming sulla pagina Facebook della galleria il 5 dicembre alle ore 15.00

Il pubblico potrà vedere le opere in galleria, naturalmente in modalità protetta e con accesso contingentato, a partire dal 5 dicembre, dal martedì al sabato dalle 16.00 alle 19.00. (chiuso 24-25 e 26 dic – 1 e 2 gennaio)

Etherea Art Gallery organizzerà durante i due mesi di esposizione, eventi Facebook online con la proiezione delle opere video in diretta streaming.

Stefania Giazzi nel suo testo di presentazione scrive:

“La mostra, ideata da Virginia Monteverde, ha preso corpo in un periodo particolarmente critico per l’ecosistema del nostro Pianeta. Il Ventunesimo Secolo si è aperto con scenari di atti terroristici che hanno minato l’idea di potenza ed inviolabilità del sistema occidentale, basato su tecnologie sempre più indispensabili per la nostra vita quotidiana, che esige un notevole dispendio energetico ed il soddisfacimento di bisogni spesso indotti dall’ingranaggio del consumismo.
La folle corsa alla produzione ed all’interscambio tra i continenti, all’inizio un potenziale arricchimento culturale ed economico, si è trasformato in un magma indistinto di traffici da un paese all’altro ove si consumava ogni risorsa dei luoghi ad un ritmo vertiginoso, spesso senza tenere nella minima considerazione le esigenze dei Paesi più poveri, mantenuti nel ruolo di gregari della produzione, fagocitati da un capitalismo senza soste e senza limiti che ha divorato le loro risorse naturali.
In ogni parte del Pianeta si è disboscato, modificato l’equilibrio naturale per impiantare monocolture che possano soddisfare i fabbisogni di consumo di carne che si è imposto anche nei paesi capitalisti emergenti; si sono sfruttati i giacimenti minerari a discapito della gente d’origine, che non ne ha avuto il minimo vantaggio; si sono usati continenti vergini come discarica dei nostri rifiuti tossici e delle nostre scorie tecnologiche; si è monetizzato ogni cosa, togliendo dignità alle persone, sfruttando anche il lavoro minorile in cambio di salari esigui, che non danno alcuna possibilità di emancipazione e facendo accettare altre aberrazioni. Tutto questo, oltre a generare dolore e rabbia, è sfociato in un disastro ecologico che oggi non siamo in grado di delimitare.
La Terra a suo modo ha dato una risposta per frenare la distruzione.

Da quale punto di vista l’arte è un complemento alla riflessione sugli eventi? L’artista vive anch’esso la limitazione dell’oggi ma la possibilità di accedere ad uno stadio più alto di coscienza e di espressione, al di là del linguaggio comune, gli consente di analizzare ed esprimere il malessere da cui siamo coinvolti.
Le artiste hanno un ulteriore strumento: l’essere donne.

Da sempre il rapporto Donna-Natura è profondo. Il secondo sesso, che nella nostra cultura sarebbe stato generato da una costola dell’uomo, ha la facoltà feconda di generare la razza umana.
Questo privilegio femminile si è tradotto però nel tempo nell’essere relegate soprattutto ad una funzione riproduttiva e di accudimento. Le grandi decisioni per lo stato sociale ed economico e per la cultura salvo rare eccezioni sono state riservate agli uomini, giungendo alle attuali condizioni del Pianeta.

Un apporto della visione femminile, che racchiude in sé la dimensione naturale del creare ma anche della cura sarebbe stato sicuramente d’aiuto nel limitare la visione antropocentrica dell’uomo, inducendolo ad avere rispetto per la Natura.

Le opere di Armida Gandini e di Lory Ginedumont interpretano il disagio contemporaneo con allegorie che si richiamano allo stato d’innocenza primordiale dell’essere umano, quando ancora tutto era in equilibrio, oramai perduto.

Nei lavori di Gandini presenti in mostra viene descritto lo spaesamento del femminile immerso in situazioni con forti incognite che metteranno alla prova le sue capacità di adattamento.

In Noli me tangere (video, 2007) una ragazza la cui fragilità fisica è sottolineata dal semplice abito bianco è avvolta in uno spazio di cui non conosce le coordinate, come il destino di cui siamo inconsapevoli attori, che la immobilizza in un sospeso momento di attesa del divenire. La tecnica usata dall’artista, che lavora sulla stratificazione di disegni, immagini e suoni, inserisce lentamente nello spazio fluido insetti che diverranno via via più numerosi ed insidieranno il suo corpo dal basso salendo fino al volto, molestato da mosche, culminando infine nella minaccia dell’assalto dei volatili che citando esplicitamente la celebre scena di Uccelli di Hitchcock (1963) esprime la forte sensazione di inadeguatezza al reale che ci circonda, di cui non conosciamo le potenzialità e da cui ci facciamo sorprendere, facendoci invadere da forze negative (simboleggiate dal nero che si impone gradualmente sulla scena) che ci sovrastano senza sapere reagire. Gandini ci suggerisce che osservando da vicino il pericolo si troveranno le armi per sconfiggerlo; sottrarvisi riproporrebbe più avanti la stessa situazione, esponendoci nuovamente alla ripetizione della negatività senza difesa. Con la nuova arma della consapevolezza sarà invece finalmente iniziato un nuovo ciclo.

Nel video Pregnant silence (2008) una giovane donna si trova in una condizione claustrofobica, sottolineata anche dallo spazio sonoro di fondo che accompagna l’inesorabile risalita dell’acqua che finirà per sommergerla. Anche in questo video il pericolo si manifesta in modo subdolo: le prime gocce d’acqua sul viso la inducono alla paralisi, allo schiacciamento su un destino al quale non si può sottrarsi. Mentre l’acqua la avvolge in ogni parte, la giovane si ripara in una posizione fetale che restituisce il ricordo sopito del grembo materno, dove il liquido amniotico dava la vita e proteggeva. Il suono ovattato a commento del video dà la misura dell’angoscia che la pervade mentre si crede in balìa di forze che non può controllare, a cui si sottrae per un istante riemergendo per prendere respiro e da cui viene risucchiata verso il fondo. Ma come nel film La forma dell’acqua di Guillermo del Toro (2018), l’acqua è un elemento che può nascondere minacce ma anche grandi opportunità, se si sa attraversare la corrente. La scelta di assecondare il moto dell’acqua, sapendo che avverrà il momento del reflusso, alla fine libererà la protagonista dall’incubo, restituendola alla vita.

Nel terzo video presente in mostra di Gandini, Io dico che ci posso provare (2009), troviamo una bambina la cui giovane vita verrà subito messa alla prova da baratri che si spalancano, barriere che si ergono, confini di demarcazione, cancelli invalicabili che possono divenire prigioni se non venisse attivata l’intelligenza emotiva che guida ogni scelta e permette ad ogni generazione di progredire nel cammino dell’uomo. Ad ogni strategia applicata, che le consente di proseguire la sua via con la leggerezza e l’innata sfida ai limiti della vita tipiche dei bambini, si ferma riemergendo dopo un po’ davanti ad altre sfide. La bambina non agisce mai d’istinto, osserva l’ostacolo sviluppando il pensiero creativo che le permette di superarlo e quando sa di non poter agire non spreca inutilmente le sue forze; la sua non è passività ma attesa per comprendere la strada da intraprendere, guidata dall’innata fiducia nelle risorse che la vita e la memoria della specie le mettono a disposizione. In ciascuno di questi lavori di Armida Gandini emerge il pensiero dell’artista, la consapevolezza che la peculiarità del femminile è anche fine ascolto e lettura dei codici della Natura, ai quali attinge per la salvezza sua e del mondo.

Le opere di Lory Ginedumont hanno come leitmotiv angeli caduti rovinosamente sulla Terra. L’artista non fa riferimento al peccato originale dell’angelo Lucifero, il mistero della loro caduta è nell’impotenza di porre freno all’avidità dell’uomo che ha ammalato il cielo e depredato la Terra. I tre video hanno in comune la contemporaneità in cui la cecità dell’uomo non riesce ad evitare la decadenza di un’epoca di alto valore culturale, intravisto negli scorci dell’architettura barocca dei palazzi genovesi, ed in cui la struggente bellezza della Natura viene soffocata da un tetro presente privo di prospettive.

In Once upon a time aux iles sanguinaires (Corsica, video 2020) le prime inquadrature ci mostrano la tranquilla bellezza ancestrale dell’isola poi un flashback irrompe con l’immagine di un angelo dalle sembianze femminili rovesciato nell’acqua, senza più vita. Il suo corpo verrà trascinato da una figura maschile ed inumato nella sabbia che sgrana nella clessidra del tempo gli ultimi attimi prima della definitiva scomparsa dell’essere a metà tra il potere divino e terrestre. Nella seconda inquadratura si ripete la stessa situazione. Un altro angelo è caduto dal cielo. Senza pietà e senza porsi alcuna domanda, l’uomo trascina il suo corpo nella fossa da cui emerge ancora per un istante un’ala prima del seppellimento, fermo-immagine di una Nike di Samotracia, dea alata simbolo di vittoria ed emblema del dinamismo, sacrificata per disavvedutezza.

Nel video Once upon a time in Saint Cyr sur mer (2020) la prima parte della sceneggiatura si concentra sull’aspetto architettonico del luogo ove si svolge il dramma. La bellezza creata dall’ingegno dell’uomo, inserita nel rigoglioso contesto naturale della Provenza, viene turbata dalla presenza di un angelo caduto nella piscina. Ginedumont con questa immagine rimanda ad un noto film della cinematografia francese, La piscina di Jacques Deray (1969), in cui una rilassata estate nasconde un’imminente fatalità. Come nel film i personaggi immersi nella trasognata atmosfera non colgono i segni della tragedia che sarà causata dall’indifferenza e dall’inerzia, anche nel video dell’artista la morte della bellezza viene tratteggiata da piccoli segni come il frinire delle cicale, gioioso suono che celebra la giornata estiva che diviene progressivamente un aspro commento sonoro o la carriola, forse allusione alla Peste di Camus, che diventerà il veicolo che accompagnerà il corpo fino all’uscita dell’arrugginito cancello segnato dal tempo e dall’incuria.

Conclude la trilogia Once upon a time in Genova (2020) dove il volo dell’angelo si è fermato sulla terrazza dell’artista. Nelle scene degli interni scorgiamo le opere di Ginedumont ispirate al rapporto con il suo vissuto, in cui si spoglia dei pregiudizi e dalle aspettative altrui per rivelarsi ed essere accettata nella sua nuda verità. In uno dei suoi bauli, scrigno di pezzi della sua storia, viene deposto il corpo dell’angelo dopo averlo privato della giacca ove poteva infilare le ali nella sua dimensione terrena. Il tetro trascinamento del baule lungo le scale viene enfatizzato dalla tecnica in slow motion, utilizzata anche negli altri video, e dalla contraddizione tra il cupo rimbombo del baule sui gradini e la breve ma folgorante presenza del Divino nell’effigie religiosa che si intravede come un bagliore nel buio. L’apice del disfacimento viene evidenziato riemergendo in una livida luce che non promette resurrezione ma solo una disperata indifferenza, che fotografa un’istantanea dell’oggi.

Le artiste

Armida Gandini

Armida Gandini (1968) è nata a Brescia, Italia, vive e lavora a Verolanuova (Bs). Da sempre il lavoro di Gandini è trasversale e si sviluppa mediante linguaggi diversi come il disegno, l’elaborazione fotografica, l’installazione e il video. Nella sua poetica rimane costante il rapporto con la letteratura e con il cinema, l’utilizzo di linguaggi digitali e la tendenza a costruire immagini stratificate in postproduzione attraverso strumenti diversi. Indagare una tematica attraverso prospettive diverse è un modo congeniale per attuare una riflessione che diventa allestimento nello spazio. Nei suoi primi video la commistione tra disegno e live action forma un complesso espressivo legato al concetto di limbo, che genera scenari simbolici privi di coordinate spaziali/temporali.
Nei lavori più recenti la rivisitazione di immagini provenienti dalla storia dell’arte, del cinema e della cultura diventa predominante e gioca sull’inquadratura fissa, la dilatazione del tempo; una dimensione immersiva in cui lo spettatore è invitato alla contemplazione del vuoto generato dal segno.

Lory Ginedumont

Lory Ginedumont (1963) è un’artista francese. Vive e lavora tra Genova e Nizza. I suoi lavori sono stati esposti in varie gallerie e istituzioni pubbliche in Italia e all’estero.
L’oggetto principale della sua ricerca è il vissuto personale. Per raggiungere tale scopo utilizza la fotografia, il video, l’installazione, la scultura tessile, il disegno e la scrittura. La natura delle sue indagini in arte muove intorno al tema dell’assenza, della scomparsa, in particolare il lutto. Il tema della morte è presente in molte opere dell’artista, che le dedica gran parte dei suoi video, definiti “cortometraggi”. La morte come momento di verità per l’essere che si trova davanti a se stesso. La morte per meditare sulla fine della vita terrena. Nelle sue opere è ricorrente la figura eterea dell’angelo. Artista fortemente materialista e atea, non crede in una vita dopo la morte, né che in qualche modo essa continui. L’angelo diventa così il simbolo di una memoria personale e familiare che aiuta a superare il dolore dell’assenza eterna. L’artista è regista dei propri video e osservatore nella rappresentazione del proprio intimo. Narratore ma anche attore della narrazione, fotografa e soggetto della fotografia.

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