Un’opera di Luisella Carretta a Metropoliz

La dimensione del viaggio attraversa la vita e l’opera di Luisella Carretta da sempre. L’opera che viene installata negli ambienti del MAAM, Museo dell’Altro e dell’Altrove in Metropoliz, città meticcia insediatasi nella periferia romana, riassume e concretizza uno dei mirabolanti progetti attuati dall’artista: catturare nel segno e nel colore le istanze del tempo e del luogo. In questi ambienti ancora memori del passato (il luogo ora abitato e che ospita opere d’arte era l’ex salumificio Fiorucci) deposita mediante la garza, materiale privilegiato per la sua leggerezza ed osmosi, le reminescenze dei luoghi e degli elementi attraversati, i deserti bianchi di Gaspè, i ghiacci del Quebec, e le sabbie e terre di Vulcano e dell’Etna.

Nella creazione dell’opera ci restituisce il senso dell’effimero, della caducità, della drammatica polarità delle cose. Proprio per questo Luisella Carretta ha visitato instancabile il mondo: ha voluto vedere, conoscere le genti e le loro terre, udirne i suoni ed i silenzi.

Il suo percorso è singolare, una ininterrotta ricerca nel mondo e nella natura di cui ha saputo carpire i segreti e che hanno ispirato i suoi scritti, i disegni e le performances.
Il desiderio dell’artista ha fatto sì che potesse attraversare continenti ed oceani per giungere a quei luoghi a lungo sognati ed agognati, vissuti mediante una misteriosa connessione dei sensi prima e raggiunti poi con il corpo. Il corpo che ha evocato con rituali i fasti e gli aspetti più nascosti della Natura, catturati mediante l’ipnotica osservazione per ore giorni e settimane di ogni minuscola manifestazione che ha condotto lo studio di Luisella Carretta in ambiti scientifici senza che lo ricercasse, giungendo ad una lunga collaborazione con l’etologo Giorgio Celli che è sfociata nella partecipazione alla Biennale di Venezia nel 1986.

Il cammino critico controcorrente dell’artista inizia nel 1970: nel momento in cui si sperimentano nuovi modi di vivere i rapporti nella società ed in cui si afferma l’espansione dell’economia industriale, essa comincia a percepire lo snaturamento dell’uomo intuendone il progressivo svuotamento spirituale a favore di una forzata accelerazione dei ritmi ed un asservimento alla logica del progresso senza limiti in nome della modernità.
Comincia a coltivare in sé una nostalgia delle origini, della purezza della percezione che permette all’uomo di accostarsi al divino inteso come creazione primigenia.
La scelta dell’artista è di isolarsi per concentrarsi sui ritmi della Natura, per coglierne ogni minima vibrazione e cambiamento nelle fasi temporali.
Dall’osservazione della struttura comunitaria di insetti e dal volo degli uccelli può cogliere l’instancabile opera di tessitura quotidiana di trame ed orditi che compongono l’ordine universale, ciascuno con la sua minuta necessaria parte. Trascrive i tracciati in disegni in progressione di movimento, metodo che ripropone strutturando tracciati umani nella città che confermano l’ineluttabile perdita dell’interazione tra umani e l’incapacità oramai di cogliere i segni ed il linguaggio della Natura.
Comprende che è necessario ricomporre l’equilibrio del mondo.
Andando alla ricerca di luoghi impervi, quasi inaccessibili, Luisella Carretta celebra in solitudine il suo tributo alla Natura, attinge alle sue fonti, si veste delle sue garze impregnate degli umori e delle usure dei climi e si lascia trasportare alla sua ricerca dell’Altrove.

Il senso di quest’opera a Metropoliz riassume in sé le peculiari caratteristiche del luogo, il nomadismo, il senso di provvisorietà, la ricerca della felicità in ogni luogo della terra, seppur nell’aleatorio tempo che ci è destinato.

Testo di Stefania Giazzi

 

Su Luisella Carretta visita la pagina

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